di Gabriele Bonafede
Lampedusa, Lesbo e la città turca di Kilis sono accomunate dalla stessa, drammatica, esperienza: l’accoglimento di rifugiati, soprattutto siriani, che scappano da condizioni disumane, guerre, macelli inenarrabili trai quali quello della Siria ha raggiunto proporzioni apocalittiche, soprattutto negli ultimi mesi.
Con la vittoria dell’Orso a Berlino, grazie al suo capolavoro “Fuocoammare”, Gianfranco Rosi ha rilanciato le due candidature “isolane”: Lampedusa e Lesbo. Le cui popolazioni si sono prodigate per salvare e accogliere decine di migliaia di rifugiati, spesso senza sufficiente sostegno dalle istituzioni nazionali ed europee.
Dal punto di vista dei numeri, ed anche della condizione oggettiva, va detto che anche la città di Kilis, la cui candidatura è giustamente sostenuta dall’Onu, è importante. Sono infatti 129.000 i rifugiati oggi residenti a Kilis, in una città che aveva circa 120.000 abitanti prima del loro arrivo. E non solo. Si tratta di una popolazione di rifugiati che vive a Kilis non per passare da lì, ma per restare in attesa di poter tornare in Siria. Se si contano anche i rifugiati passati da Kilis si tratta di milioni di persone. La Turchia ne ospita al momento un milione. Da Kilis è passata una gran parte dei milioni di rifugiati siriani che scappano dalla triplice brutalità del regime di Assad e suoi sostenitori (compresi, purtroppo, molti “politici” italiani), Isis ed estremisti islamici.
Queste candidature riportano dignità a un Premio Nobel della pace che, purtroppo, ha visto spesso candidature che meriterebbero invece il “Tapiro-Mefistofele”. L’ultima di una lunga serie di candidature vergognose, che annovera persino Hitler, è quella di Donald Trump. Uno che fa dell’odio razziale la sua propaganda politica e che se diventasse presidente degli Stati Uniti metterebbe il mondo intero a rischio di autodistruzione nucleare, considerando i suoi discorsi di campagna elettorale. Discorsi che è meglio non riportare qui, vista la grande propaganda che ha scatenato nel mondo a suo sostegno, purtroppo molto recepita anche in un’Italia da media sempre più sordi alle istanze riguardanti i diritti umani e la difesa dei più deboli.
La candidatura si Lampedusa e Lesbo è stata rilanciata grazie alle parole di Rosi dopo la vittoria a Berlino con il suo film. Il discorso di Rosi è da sottoscrivere per intero:
”Il premio Nobel agli abitanti di Lampedusa e Lesbo sarebbe una scelta giusta e un gesto simbolico importante. Consegnarlo non a un individuo ma a un popolo. I lampedusani in questi vent’anni hanno accolto persone che sono arrivate, migranti, senza mai fermarsi. Ho vissuto lì un anno e non ho mai sentito da nessuno parole di astio e paura nei confronti degli sbarchi. Le uniche volte in cui li vedo reagire con rabbia è quando ci sono troppe notizie negative associate all’isola: “disastro a Lampedusa”, “i pesci che mangiano i cadaveri”, “arrivano i terroristi”. Quelle sono le cose verso le quali hanno, giustamente, un rifiuto totale. Vorrebbero che tutto si svolgesse senza lasciare traccia mediatica, portando avanti il loro aiuto quotidiano. Ce ne sono tanti che lavorano al Centro d’accoglienza, oggi che gli sbarchi sono procedura istituzionale: la raccolta in mare aperto, l’arrivo al porto e al Centro per l’identificazione.”
“Ma – continua Rosi – fino a poco tempo fa, quando arrivavano i barconi carichi sulla spiaggia, i migranti erano soccorsi, rifocillati, ospitati. Una volta in centinaia si buttarono in mare per salvare altrettanti naufraghi. C’è uno dei racconti del dottor Pietro Bartolo che mi è entrato nel cuore, anche se non sono riuscito a metterlo nel film. Quando su una nave carica c’era una donna incinta che non era riuscita a partorire, stretta tra la folla. Bartolo attrezzò una piccola sala operatoria e fece nascere la bimba. Non aveva detto nulla a nessuno ma quando uscì dall’ambulatorio, sfinito, trovò ad aspettarlo 50 lampedusane con pannolini e vestitini. Quella bimba oggi si chiama Gift, dono, e abita con la mamma a Palermo. Questo stato d’animo appartiene non solo a Lampedusa ma alla Sicilia e i siciliani.”
Purtroppo, molti abitanti di Lampedusa e di Lesbo non sanno che non sono soli nell’accogliere i rifugiati: ci sono anche quelli di Kilis e di altre isole e città turche, greche, giordane, libanesi e di tanti altri Paesi nel mondo che si trovano nei crocevia di esodi disperati. La cosa è vicendevole, stando a ciò che si legge nei giornali turchi gli abitanti di Kilis sanno poco di Lampedusa, forse qualcosa in più di Lesbo.
Sarebbe dunque cosa felice proporre le tre candidature assieme, anche per far rendere conto alle popolazioni di Lampedusa, Lesbo e Kilis che non sono sole: sono tre esempi, insieme a tanti altri meno conosciuti, di umanità e pace. Tre esempi che, oggi, vanno contro la corrente purtroppo segnata da troppi media e troppi “uomini” politici che fanno della disumanità, delle divisioni e della guerra la loro attrattiva su masse di persone poco informate.
Per far questo, sarebbe utile che i tre sindaci delle tre città si incontrassero o parlassero tra loro per organizzare una candidatura unificata che sia più forte, all’insegna del dialogo tra diversi Paesi, diverse culture e religioni e persino diversi ideali politici. Magari sostenuta anche da Gianfanco Rosi e l’Onu. E che sia simbolo di una propensione alla pace e all’accoglienza di tanti altri posti nel mondo.