di Viviana Di Lorenzo
Non si parla mai abbastanza delle tragedie di cui il nostro mare fa da scenario e non possiamo permetterci di dimenticare le migliaia di morti che si sono verificate e che continuano a verificarsi, alla ricerca di una vita migliore.
“Fuocoammare” di Gianfranco Rosi è un documentario che ci porta sull’isola di Lampedusa, protagonista da anni di tragedie e sbarchi di numerosi immigrati, i quali non sempre riescono a raggiungere la terraferma, ma anche di una popolazione che ha saputo soccorrere e ha vissuto in primo piano nel dolore delle numerose famiglie che hanno vissuto la morte dei loro cari. La storia ha come protagonista un ragazzino, Samuele che non ama tanto il mare e che probabilmente non farà il pescatore come il padre, caccia con la sua fionda gli uccelli e passa le giornate a giocare con l’amico, in assoluta spensieratezza. Ha un occhio pigro, per il quale è costretto a portare una benda. Non è un caso, infatti questa realtà è usata dal regista come metafora di un mondo che finge di non vedere ciò che succede, che non riesce a focalizzare del tutto il grave e reale problema che Lampedusa, ma non solo si trova ad affrontare spesso da sola.
Non è un documentario realizzato solo per raccontare di un problema, di un fenomeno che interessa tutta l’Europa, ma ha il compito di “filmare” ciò che realmente succede in quest’isola. Per farlo il regista ha vissuto un anno a Lampedusa, per vivere e studiare il problema da vicino, per cogliere gli aspetti più veritieri e concreti di questi drammi e non semplicemente osservarli e riportarli sulla base di ciò che i media ci mostrano. Grande professionista è il dottor Bartolo, vero medico dell’isola che ha avuto e tuttora ha il compito di curare gli immigrati sbarcati, ma anche di accertarne la morte. Il dottore ha un ruolo delicato, perché non è facile per nessuno, neanche per un professionista, affrontare tanto dolore per così tanti anni. Egli è in grado di farlo con coraggio, senza perdere mai di vista la gravità della situazione in cui lavora e allo stesso tempo non lasciandosi coinvolgere troppo, perché probabilmente ciò non gli permetterebbe di superare tanta sofferenza.
Il film che è stato l’unico italiano ad essere presentato alla Berlinale, ha emozionato perché è riuscito a focalizzare la questione da un punto di vista che non mente, che non si basa solo sulla presentazione di un tema sociale, ma che ha come obiettivo, quello di portare all’attenzione una realtà difficile alla quale non possiamo voltare le spalle.
In copertina un fotogramma del trailer.