di Gabriele Bonafede
L’amore sconfinato per il teatro: questa è la cifra di Giuditta Lelio. Che ha lanciato tante sfide nel suo palcoscenico, il Teatro Lelio di Palermo. Quella di ieri sera è stata una bella sfida, vinta grazie alla dedizione per le scene, per la comunicazione, per la storia e le realtà del grande teatro. Vinta grazie alla sua grande esperienza nel proporre con garbo Jean Cocteau, e il suo “La voce umana”.
Cocteau è un’icona nella storia del teatro. “La voce umana” è un pezzo di questa storia fin dal 1930, con quel massimo passaggio al cinema grazie ad Anna Magnani e Roberto Rossellini che lo sublimarono in “Amore” nel 1948. Qualcosa che, già nel testo prima ancora che nella rappresentazione, è foriero d’emozione, concretezza, rifrazione.
La Lelio lo mette in scena con la sua amabilità, con quella parola che trascina dentro e fuori le scene. Lo considera anche, e forse soprattutto, un omaggio all’autore. “Oggi il grande Jean Cocteau è stato qui, fra noi, a Palermo”, dice con la sua fiera postura dopo il lungo applauso a fine spettacolo.
Decisamente, l’omaggio è chiaro fin dall’inizio, ambientato in modo “parigino” anche nella luce e nella pioggia. Rimarcato dalla fisarmonica da rue parisienne, il cui suono proviene dalle finestre di una mansarda in un qualsiasi arrondissement di decenni fa: la Lelio anche questa volta non ha alcuna paura di sembrare “troppo” classica. E delizia l’atmosfera con un’altra icona che ci sta: la voce de La Môme, Edith Piaf.
Lo fa sempre con grazia, con antica pazienza e attenzione e senza esagerare. Perché lo spazio completo sulla scena è sempre per lei: la donna che non accetta di lasciare un uomo. Il quale non la considera nemmeno un poco, dall’altro capo del filo telefonico, nonostante la lunga relazione. Una donna semplice, debole, assediata dalla paura di restare sola e che si sottovaluta al cospetto del tomo che ha incontrato.
La lei in scena, ieri sera al Lelio, è Danila Laguardia. Attrice che accetta la sfida proponendosi e adattandosi alla guida certa e navigata di Giuditta, ripagando regista e spettatori con una performance anch’essa nella cifra dell’amore, disperato e inutile per l’uomo che la lascia, concreto e corposo per le scene e un pubblico entusiasmato.
È stata una rara opportunità per la visione di questo testo a Palermo, anche perché assaporare “La voce umana” è esperienza unica soprattutto a teatro. E specialmente quando la forza emozionale cresce così chiara e si spande sul pubblico a pochi passi e oltre.
La Lelio cambia quasi nulla nel testo e rende l’attrice libera di cantare, di declamare, di muovere e gestire rendendo merito al tutto. Poliedrica la Laguardia: oltre a recitare e cantare, promuove gesti personali e simbolici, esaltando gli accenti diversi richiesti da testo e regia in un ritmo volutamente mutevole. Così che l’empatia e il contatto crescano ed esplodano in un chapitre final d’adeguata potenza.
Si spera sia rimesso in scena quanto prima, così da poterlo apprezzare un’altra volta a Palermo.
In copertina: Giuditta Lelio.
l’energia profonde intensa dall’anima – dall’animus! – di Giuditta, dal suo amore per il teatro, così coinvolgente, così raro e prezioso da considerarlo, almeno da parte mia, un grandissimo privilegio poterla avere come amica, interlocutrice attenta e semplice nel voler condividere la complessità della sua enorme competenza, della sua smisurata cultura teatrale e non solo: è il suo entusiasmo contagiante a renderla unica e speciale nel nostro panorama siculo-italico troppo conforme alle logiche di chi gestisce il potere, il suo coraggio, nell’affrontare sfide sempre diverse ma dall’esito rivitalizzante, persino gratificante per una città che da troppo tempo è alla ricerca di rassicuranti conferme. Giuditta esplora, ed è tra coloro i quali cercano di dare a questa città, Palermo, ulteriori chances per essere riconosciuta al livello dell’importanza culturale che le compete. Non che debba essere il teatro il luogo di una riflessione, di una motivazione all’impegno, ma certamente il teatro di Giuditta sa indicare molte strade, una tra le poche voci che ancora resiste, più bella che mai, oltre le barriere e le trappole e le rassegnazioni e le rabbie di un’epoca che di gratuito e disinteressato ha ormai ben poco.