di Gabriele Bonafede
Teatro a Palermo, ovvero croce e delizia. Perché la pianta del teatro a Palermo ha dato molti frutti, se non altro nei successi di tanti attori, registi, autori, fotografi, artisti e addetti ai lavori. È d’uopo: come Napoli e tante altre città del Mezzogiorno-e-Isole, come tanti altri posti, pure minuscoli, nella terra al di qua di Eboli, Palermo è uno scorcio di teatro anche nella vita quotidiana. E l’artista se ne nutre.
Se c’è qualcuno che si è nutrito del quotidiano nascosto, della poesia itinerante negli “angeli” che compongono Palermo, se c’è qualcuno che ha trasformato in poesia anche il ventre popolare sui quali si affacciano i catoi di un centro storico tuttavia cadente, che ha elevato a prosa e poesia la vita stomacale e preziosa della povertà quotidiana nei quartieri popolari della Conca d’Oro, questi è Franco Scaldati.
Immenso, è stato ignorato dai più. O peggio, è stato accolto da Palermo fino a un certo punto. Non si può non essere d’accordo con il lungo titolo che Franco Maresco ha dato al suo film-documentario sulla vita dell’altro Franco: “Gli uomini di questa città io non li conosco. Vita e teatro di Franco Scaldati”.
Poeta della vita, Franco Scaldati è stato “rifiutato” da Palermo, ma non da tutti. Anzi, oltre al pubblico sempre affascinato, in molti ne hanno condiviso e accompagnato le scene, il pregio, il teatro. A partire da Gaspare Cucinella, morto due giorni fa, che era coppia fissa e mutua fonte d’ispirazione con il Sarto. Ma anche, oltre a Franco Maresco, Paolo La Bruna, Nino Drago, Aurora Quattrocchi, Melino Imparato, Vannina La Bruna, Gigi Burruano, Giacomo Civiletti, Paride Benassai, per citare a memoria chi ha lavorato con lui in momenti importanti, condividendone perle preziose, avventure e disavventure in una città testardamente autolesionista.
Qualcuno ha detto che la forma poetica di Scaldati, con il dialetto palermitano, sarebbe stato un ostacolo per portarlo fuori dalla Sicilia. Personalmente non sono dello stesso avviso. E non è dello stesso avviso Matteo Bavera, direttore del Teatro Garibaldi, che lo ha scoperto venti anni fa incontrandolo a Ivrea in occasione del convegno del ventennale sul Manifesto del Nuovo Teatro. “Lo conoscevo attraverso i racconti di un giornalista palermitano, Sergio Buonadonna, che scriveva nell’Ora e viveva in quel periodo a Pavia, dove lavoravo anche io”.
“Abbiamo subito legato – prosegue Bavera i cui occhi s’illuminano ogni volta che si parla del Sarto – e Franco era stato chiamato al Piccolo Teatro di Palermo da Paride Benassai. In una delle coincidenze della vita, anche io fui chiamato da Paride. E lo vidi subito in scena con la prima versione di ‘Occhi’. Fui fulminato dal suo testo e da lui come attore. Decidemmo di lavorare assieme. Cercai, al Piccolo Teatro di Palermo, di proporlo con un rapporto più ampio in un contesto almeno nazionale. Avevo visto la statura nazionale, se non internazionale, e decisi di costruire una stagione attorno a lui: da Leo De Berardinis a Carlo Cecchi, a Enzo Moscato, a Toni Servillo, a Martone, a Neiwiller. Fu una stagione molto bella che oggi non si potrebbe realizzare, e che non so come si riuscì a realizzarla in quel momento. Questo pose all’attenzione dell’Italia Scaldati, soprattutto accostato a Moscato. Anche perché li univa la scelta di lingua teatrale: il Palermitano e il Napoletano. L’Italia è un Paese di lingue locali e regionali. I grandi autori hanno lingue locali, come il veneziano. Forse non esiste una lingua nazionale del teatro.”
Palermo anni ’70, 80 e ’90. Una Palermo diversa da quella di oggi. Senza il Teatro Massimo perennemente in restauro. Con un centro storico ancora più bistrattato di oggi, ancorché molto più vivo nei mercati: Vuccirìa, Ballarò, Porta Carini… Con una generazione culturale che cresce e matura.
Se è la Palermo che passa dai Ciancimino ai Lima e poi ai “corleonesi” in un bagno di sangue e rovina, se è la Palermo degli eroi che muoiono traditi, se è la Palermo dal sempiterno e meschino masochismo, è anche la Palermo che vede Elvira Sellerio in crescita, nuove generazioni d’artisti nascere e andare, Maresco e Ciprì denunciarne il volto più nero, e più bianco, fino a portarlo in Italia grazie a Ghezzi. Ed è la Palermo vera: quella di Scaldati, quella che, forse, non c’è più.
Bavera continua il racconto, sempre ispirato: “Considero Scaldati il più grande autore del Mezzogiorno. Che inizia ad essere finalmente riscoperto, in una città che vuole sempre distruggere per interessi personali, solo dopo la morte e per giunta in modo limitato, molto insufficiente, a parte Maresco. Una città che continua ad esitare e aspettare per proporlo nei luoghi in cui merita, e che anche in questo rimane città incapace. E invece dovrebbe giovare ad attori che sono in grado di recitarlo. Che sono pochi tra quelli rimasti a Palermo. Se penso alla ‘Gatta di pezza’, mi accorgo che oltre Melino Imparato, solo Gigi Burruano e pochi altri potrebbero recitarlo come si deve. E invece, adesso, dopo la morte, viene cavalcato con superficialità.”
“Scaldati, tra tutti, è quello che potrebbe avvicinarsi alla grandezza di Pirandello. No, non sto sparando follie, semmai è follia non pensarci”, chiosa il direttore del Garibaldi.
“E allora – continua a fiume Bavera – voglio chiudere la mia ‘Partita finale’, a vent’anni dal mio arrivo, con questo impegno. Credo di avere fatto miracoli con il Garibaldi finora. Tanti sono passati da qui, forse tutti e non esagero, prima di trovare altrove le proprie prospettive artistiche. Fare una stagione con soli 15000 euro di contributo rasenta il miracolo. O mi sbaglio? Mi occupo di fare il ‘custode’ del Garibaldi per impedirne una nuova devastazione e qualcuno ha pure il coraggio di rimproverarmi questo lavoro gratuito, o vaneggia sulle cifre ridicole che abbiamo percepito per realizzare una stagione impossibile con quei mezzi. Da maggio 2016 si cerchino un altro. Il mio impegno e il mio desiderio è far vivere l’opera di Scaldati anche in Europa. Esistono già due traduzioni, splendida quella di Jean Paul Manganaro in francese, una in catalano, e una in tedesco forse da migliorare, ma che ha dato splendidi risultati nel Workshop tenuto da Roger Vontobel a Palermo. Si può fare: portare Scaldati in Europa. Lo sto facendo, l’ho già fatto.”
Nel commentare su questo progetto per portare Scaldati in Europa, Matteo Bavera chiarisce: “Visto che il Teatro Biondo non ha creduto a un Teatro Nazionale che mettese in rete varie realtà (Garibaldi, Teatro Libero, Compagnia Scaldati e Cuticchio), che invece si sono messe a collaborare anche recentemente con il progetto comune ‘METECI’, mi sono attivato in altro modo. Mettersi in rete era uno degli imperativi categorici della nuova normativa ministeriale, idea recepita con entusiasmo da Sindaco e Assessore alla Cultura. Ma ora sto già lavorando per proporre questi testi ad alcuni teatri europei, con la Francia e la Polonia studiamo un progetto europeo che veda Franco al centro. D’altronde, conosco a memoria i suoi testi, li impiego persino per mandare via i ragazzini che a volte prendono a calci le vetrate e le porte del Garibaldi “a nuci ru cuozzo vi scippu, a tavula ru piettu vi scafazzu” sono parole che mettono paura seppur pronunciate con il mio siciliano di Sant’Agata di Militello, Scaldati aiuta anche così!”
Di seguito la clip del film-documentario di Franco Maresco “Gli uomini di questa città io non li conosco. Vita e teatro di Franco Scaldati” prodotto dalla Ila Palma Film, di Rean Mazzone, e la piece “Il ventre di Palermo – Sulle tracce di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino” su Rai Due, tratta dal canale youtube di Umberto Cantone.
https://youtu.be/VCDUtMR9xQY