di Pasquale Hamel
L’11 febbraio 2013, Benedetto XVI, ultimo papa tedesco dopo circa un millennio, annunciava le proprie dimissioni da Romano pontefice. Un evento inaspettato che ha richiamato alla memoria “colui che fe’per viltade il gran rifiuto”, cioè quel Celestino V che, dopo poco più di tre mesi, clamorosamente, rinunciò al magistero pietrino aprendo la strada all’ambizioso cardinale Caetani incoronato papa con il nome di Bonifacio VIII.
Un richiamo ed un raffronto fra due personalità assolutamente incomparabili. Celestino, al di là del mito e della santificazione – anche per la sua tragica fine, visto che morì prigioniero di Bonifacio – era un frate ignorante, conosceva a malapena il latino, ma era anche un debole divenuto docile strumento nelle mani di un sovrano ambizioso qual era Carlo II d’Angiò. Quest’ultimo, con la scusa di proteggerlo, l’aveva costretto a trasferire la corte pontificia a Napoli per poterlo meglio controllare.
Benedetto XVI, uomo di grande cultura
Benedetto XVI, prelato che ha percorso l’intero cursus honorum della carriera ecclesiastica, si presentava invece come un uomo di grandissima cultura, che ben conosceva le regole del governo della Chiesa ma che, soprattutto, era (ed è) motivato da una convinta e matura fede.
Difficile comprendere il perché di quella rinuncia: molte supposizioni e quasi nessuna certezza. Sarebbe azzardato che ne formulassimo qualcuna, certo è che considerata la statura intellettuale, e morale, di papa Benedetto non possiamo immaginare altra risposta se non quella della convinzione di non essere più in grado, per età e condizioni di salute, di sostenere un così gravoso impegno al quale il Conclave l’aveva chiamato forse per rispettare l’indicazione di Giovanni Paolo II.
Egli aveva accettato di ascendere alla cattedra di Pietro, anche di questo siamo convinti, al di là di un suo specifico interesse a soddisfare una qualche sua sia pur legittima ambizione.
Uomo di fede e raffinato intellettuale, sinteticamente il profilo di Benedetto XVI, un papa che ha segnato un’inversione di rotta rispetto al magistero del suo predecessore, nel senso che non ha ripercorso il cammino pastorale di Giovanni Paolo II.
Benedetto non è stato, infatti, e non ha voluto essere il papa mediatico capace di mobilitare le masse e di richiamarle piuttosto che attorno alla Chiesa attorno a sé stesso. E tutto questo un po’ per scelta un po’ per necessità: papa Ratzinger non era dotato del carisma personale del papa polacco. Giovanni Paolo II, pur avendo alimentato una certa non positiva “papalatria”, ha reso tuttavia visibile la dimensione religiosa anche ai laici. Benedetto ha, invece, rivalutata la dimensione della riflessione, preferendo sfuggire alle suggestioni mediatiche che oggi affascinano molti.
Mitezza e autorevolezza, virtù di Ratzinger
Ma la mitezza e la lentezza, virtù la prima e probabile difetto la seconda, non hanno impedito che Benedetto, pensato come papa della anti-modernità e della conservazione, potesse dare, e non solo al popolo dei credenti, segni e ammonimenti, soprattutto rivolti all’Occidente, di eccezionale lucidità.
Segni e ammonimenti che andavano anche al di là del suo magistero e sui quali credenti o meno ci dobbiamo interrogare. Proprio su questi ci vogliamo soffermare, a volo d’uccello, per rendere la cifra specifica di questo brevissimo pontificato concluso con le dimissioni di papa Ratzinger. Dimissioni che, dal nostro punto di vista, costituiscono un atto di straordinaria maturità.
Benedetto, con la forza della sua autorevolezza, aveva risolto un dubbio che ha perseguitato generazioni di credenti, e cioè la contrapposizione fra fede e ragione. A chiare lettere egli ha rigettato l’idea che “… agire contro ragione sia in contraddizione con la natura di Dio”.
Questo costituisce il punto centrale del famoso discorso di Ratisbona che suscitò tante polemiche e contrasti. Per Benedetto, Dio e λογως non possono essere contrapposti. Un’affermazione forte che porta, come conseguenza, ad un rapporto diverso fra scienza e fede ed ad una centralità ancor più sottolineata dell’uomo razionale, spezzando alle radici il conflitto che la rivoluzione illuminista aveva acceso e, spesso, risolto con l’emarginazione del sacro ridotto a mero arcaismo.
Benedetto XVI e i valori della civiltà occidentale
Altro tema caldo del pontificato di Benedetto è stato il problema che tormenta molti intellettuali occidentali del tempo presente che è quello della difesa dei valori della civiltà europea, che è poi la civiltà Occidentale. Di fronte ad una certa stanchezza che ha indotto altrettanti intellettuali a vivere i valori dell’occidente come una sorta di peso del quale è necessario liberarsi o, ancor peggio, a vergognarsi dell’appartenenza ad una civiltà che è stata capace di produrre quei valori, Benedetto ha avuto il coraggio di ribadirne il valore e di contrastare quell’idea di un “Occidente che non ama più se stesso, che ha perso la sua spiritualità, che rischia di perdere la sua identità”.
Indicando, in primo luogo per la Chiesa, un percorso di accettazione di un pluralismo nel quale anche l’ateo è e deve essere parte, essendo perfino non importante credere ma, invece, accettare e difendere i principi e i valori che per secoli sono stati alla base della convivenza dei popoli europei.
E si arriva al momento più alto della sua riflessione. “Si va costituendo una dittatura del relativismo che non si riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura il proprio io e le proprie voglie.”
Ed ancora “Se tutto fosse relativo prevarrebbero ‘gli egoismi, le divisioni nelle famiglie, l’odio tra le persone e tra i popoli, la mancanza di amore, di gioia e di speranza’.” La denuncia del relativismo e dei pericoli in esso insiti non solo per la Chiesa o per la cristianità in genere ma per la convivenza umana ha costituito il pezzo forte del magistero di Benedetto.
La grandezza di Benedetto XVI
Una battaglia condotta a viso aperto, senza quelle cadute, spesso volute, per compiacere il cosiddetto politicamente corretto. Il relativismo, che non ha nulla ha che fare con la razionale accettazione del dubbio, rischia infatti di dissolvere i legami sociali, rischia di far trionfare l’iper-individualismo e il nichilismo. Visto che, aggiungiamo noi: se tutto è relativo non sarà anche relativo lo stesso relativo?
Basta solo questo per ricordare il contributo importante dato dal papa che volle scegliere il nome Benedetto con riferimento a quel santo a cui tanto deve la civiltà europea aggiungendo che, nel suo breve pontificato, egli è stato anche “voce che grida nel deserto”.
Il suo grande progetto, quello di risvegliare la coscienza dell’Europa, cioè i valori dell’occidente, avrebbe infatti avuto bisogno di una solidarietà che, forse, in una chiesa molto più attratta dai problemi di un quotidiano materiale, gli è mancata. Tanto che, piuttosto che essere, come aveva immaginato Hans Kung, il papa della speranza si è trasformato, in vita, ad essere il papa della rassegnazione. Ma, attenzione, è una rassegnazione che si può trasformare in virtù? Forse la sua grandezza è proprio questa.