di Gabriele Bonafede
Lampedusa è un’isola che vive di turismo perché bellissima. Un respiro d’acqua azzurra e rocce bianche nel mezzo del Mediterraneo. E nell’Odissea dell’avventura umana.
È anche un luogo surreale, unico nel tempo e nello spazio perché minuscola frontiera tra due mondi immensi. Nel muro del mare, rappresenta una porta per chi parte da un ignoto e va verso un altro luogo, ancora più ignoto. Raccontare Lampedusa è come raccontare questa porta che non è solo passaggio obbligato nella vita ma anche speranza, perdizione, disillusione, coscienza. È trovare. Laddove non c’è più nulla, o laddove può esserci tutto.
La trilogia di Lina Prosa sul naufragio, con al centro Lampedusa, affronta questo passaggio e riporta l’atto del teatro sul percorso che un simbolo come questa isola è per tutti gli europei: confronto.
Confronto infinitesimale e per questo universale “Abbiamo tanta fame perché dobbiamo sfamare l’universo” dicono i due “africani”, come fossero Adamo ed Eva nella nuova odissea millenaria. Umili. Eppure scelti dal destino per incarnare la verità della pancia, la verità del pane con l’olio, la realtà di un dialogo al quale non possiamo sottrarci, nessuno può sottrarsi.
I due fondatori dell’umanità non possono vedere eppure ne ricevono l’avvertimento: “Non mangiate i tonni”, semmai continuate la vita. Laddove potete.
Ironico, amaro, tragico, eppure vitale e foriero di speranza, il terzo atto della “Trilogia del Naufragio” scioglie i primi due e apre questa porta nonostante sia irrimediabilmente chiusa. E si torna indietro per andare avanti rompendo la prassi e la viltà.
È “la discesa negli abissi” di Shauba, in Lampedusa Beach, insieme alla tragica ascensione sulla montagna di Mohamed, in Lampedusa Snow, che guidano al principio della fine e alla fine del principio. In Lampedusa Way sono Mahama e Saif a cercarli, genitori e figli allo stesso tempo, in tempi diversi tra loro. Inevitabilmente diversi, perché da quell’immenso azzurro restano solo le fotografie, spietate guide verso l’orizzonte sconosciuto.
Maddalena Crippa (Mahama) e Graziano Piazza (Saif) sono corposi interpreti nella tappa finale del naufragio davanti alla porta del “capitalismo”, corrieri di un vento africano che non si ferma allo scirocco e accetta invece il gelo del tempo passato e del tempo a venire. Evocano le altezze dell’Ararat scagliando parole dure quanto il granito alla fine della vita, eppure dolci come uomo e donna che rinnovano la stirpe.
Corre, dunque ancora, una pièce che propone una prospettiva di rilancio e dialogo intorno al teatro, anche dalla periferia d’Europa come possono essere Palermo e la stessa Lampedusa. Soprattutto se la si saprà legare e rappresentare insieme ai primi due capitoli. E le carte da giocare ci sono tutte, a partire dal grande apprezzamento in Francia e in critica, in Italia e oltre.
In prima nazionale il 3 febbraio, Lampedusa Way (testo e regia Lina Prosa, con Maddalena Crippa, Graziano Piazza, scene, luci e costumi Paolo Calafiore, assistente alla regia Claudia Brunetto, suono Pippo Alterno, costumi Mela Dell’Erba, produzione Teatro Biondo Palermo) sarà in scena fino al 7 in Sala Strehler.