di Pasquale Hamel
La notizia fece subito il giro del paese, della provincia e, poi, perfino della stessa Italia. Sì, proprio così. Il 21 novembre del 1953, nella umile casa di un pasticciere di Porto Empedocle, un’immagine della Madonna affissa ad una parete si era messa a lacrimare. Un evento miracoloso che, vedi caso, si manifestava a meno di un anno dalla lacrimazione della Madonna di Siracusa. A rincarare la dose del fenomeno soprannaturale, alle lacrime si aggiunse il sangue. Venne diffusa la voce che sgorgasse sangue dal cuore e dalla fronte della Madonna.
Ce n’era abbastanza, ed in effetti tanto bastò, perché si manifestasse una vera e propria isteria collettiva che varcò i confine del paese e che coinvolse perfino quanti, fino a quel momento, di Chiesa e religione non se ne erano fregati più di tanto.
Nella mia memoria di bambino, avevo quattro anni, quella storia è rimasta particolarmente viva. Una mia cara zia, sorella di mamma, sfidando la massa che, come accade in queste occasioni, si affollava di fronte all’immagine rapita da estasi mistica, mi volle infatti portare nella casa del miracolo col risultato che poco mancò che scoppiassi a piangere. Tutta quella gente che recitava ossessive poste di Rosario mi fece infatti una gran paura tanto che la zia fu stata costretta, in fretta e furia, a portarmi via fendendo controcorrente la folla che spingeva per entrare. Quello è stato il mio primo ricordo della storia “trubbola” che, per quasi un anno, divenne il tormentone delle cronache paesane e non solo.
Qualche mese dopo, per regolare la gestione dell’evento, fu costituito un comitato che si occupava soprattutto di amministrare, in modo un po’ garibaldino, la raccolta delle ingenti offerte che piovevano non solo dal paese ma perfino dalle lontane Americhe.
Quasi nessuno osò mettere in dubbio la veridicità di quanto accadeva, anche se non tutti furono convinti. Non lo furono soprattutto i giovani della locale Azione Cattolica che, insieme al loro assistente spirituale, manifestarono pubblicamente qualche perplessità, al punto da essere additati come scettici catto-comunisti dallo stesso arciprete del paese, particolarmente interessato all’evento che, invece, ne sosteneva a spada tratta l’autenticità.
Intanto, il quadro miracoloso, dopo una apparente lunga contrattazione con il proprietario, era stato staccato dalla parete dove era collocato e per essere sistemato sopra un altare di legno, riccamente decorato di sete e velluti che, in quattro e quattr’otto, era stato costruito e addossato a una vecchia facciata sulla piazza. Il giorno della traslazione la folla fu veramente immensa e dovette perfino intervenire la forza pubblica per creare un varco attraverso il corteo che trasportò la Madonna miracolosa fino all’altare al di sopra del quale venne sistemata.
E qui il secondo ricordo di quella storia vissuto dal balcone di casa.
In quegli anni la mia famiglia abitava nella grande casa dei nonni paterni che si affacciava sulla via che portava al luogo del miracolo e, da quella postazione, si poteva allungare lo sguardo per abbracciare quasi l’intera piazza brulicante di gente.
Nella piazza antistante la casa del miracolo potevo vedere che il numero dei fedeli (e dei curiosi) si moltiplicava al punto che sembrava non riuscisse a contenerli tutti. Da lì, canti e preghiere si elevavano al cielo mentre, da ogni parte, spuntavano invalidi e malati ad impetrare la misericordia della Madonna. Indescrivibile era, soprattutto, lo spettacolo notturno; nonostante il freddo di febbraio che consigliasse di stare al calduccio, nessuno sembrava mancare alla recita del Rosario e la notte senza stelle veniva illuminata da migliaia di candele accese le cui fiammelle tremolavano al soffio di un leggero venticello di tramontana.
Niente faceva pensare all’epilogo che di lì a poco avrebbe messo la parola fine a quella terribile messa in scena. Infatti, una denuncia anonima arrivò, in quei giorni in cui si celebrava il “trionfo delle lacrime”, sul tavolo del vescovo Giovanni Battista Peruzzo, alessandrino coltissimo, che aveva fiutato qualcosa e che tuttavia esitava ad intervenire. Quell’anonimo convinse il prelato che non era più tempo di aspettare.
Da Agrigento partì, dunque, immediatamente un ordine perentorio: il quadro della Madonna piangente andava subito consegnato alla curia perché venissero effettuati gli accertamenti di rito. L’ordine andava subito eseguito e fu così che, fra proteste e malumore, i membri del Comitato dovettero rassegnarsi a consegnare il quadro della Madonnina piangente alla curia dove venne sigillato in una teca di vetro per isolarlo e impedire che qualche furbone ci mettesse le mani.
Forse perché indispettita da quel trattamento poco rispettoso o, piuttosto, perché più prosaicamente si trattò solo di una brutta impostura a spese delle credulità popolare, certo è che la sacra immagine da allora, per quanto è dato di saperne, non risulta che abbia più lacrimato né, tanto più, sanguinato.
Anche l’Istituto Luce dedicò un servizio, probabilmente prima della verifica della curia visti i commenti dello speaker (e dal quale sono tratti i due fotogrammi nel testo dell’articolo), visibile ancora oggi nel canale youtube CinecittàLuce: