di Gabriele Bonafede
Non è facile confrontarsi con l’immensa e complessa figura di Antonio Gramsci. Non a caso, sono pochi i tentativi di delinearne la biografia e il contributo storico e culturale attraverso il cinema o la TV. Il nuovo film di Emiliano Barbucci, “Gramsci 44”, docufiction con puntuale ricerca storica, ha il pregio di portare alla luce profondi collegamenti e pensiero circoscrivendo l’argomento-Gramsci nello spazio e nel tempo: i 44 giorni di confino passati nella piccola isola di Ustica prima d’essere incarcerato definitivamente.
Barbucci contribuisce così con un importante film-documento, opera prima di 66 minuti, a sbalzare l’aspetto più evocativo di Gramsci: quello dell’insegnamento, dell’eredità che ha lasciato, del fondamento educativo per l’Italia di ieri e di oggi. E, si spera, anche di domani. Nella diseredata Ustica degli anni ’20 del secolo scorso, l’intellettuale crea in poche settimane una scuola che si potrebbe definire “maieutica”, sbaragliando la presa dittatoriale su un pezzetto di territorio italiano schiacciato dalla miseria e l’isolamento. Guardando e “leggendo” Gramsci 44 ci si rende conto che si trattò di 44 giorni di utopia realizzata.
Sbalza, più di ogni altra cosa, il crimine dittatoriale contro la cultura e la crescita sociale di ogni Paese, denunciando nel migliore dei modi la nota frase di chi rinchiuse Gramsci: “per vent’anni dobbiamo impedire di far funzionare il suo cervello”. È evidenziato, nel film di Barbucci, il crimine fascista e dittatoriale, non solo nei confronti di Gramsci, ma dell’umanità. Quale avanzamento sociale e culturale si sarebbe realizzato in Italia se Gramsci non fosse stato rinchiuso? Non si sa. Ma possiamo intuire che l’Italia sarebbe cresciuta molto, anziché regredire. Che, oggi, sarebbe un Paese veramente all’avanguardia anziché un consesso di genti sprofondate nel provincialismo e la creduloneria più avvilenti.
Ed è un monito per tutti i Paesi che accettano o accetterebbero le dittature e le pre-dittature, esistenti ancora in gran numero nel mondo del XXI secolo. Con smisurato egocentrismo, tutti ci sentiamo un poco Gramsci, da questo punto di vista, ogni volta che ci sentiamo censurati nella nostra libertà d’espressione.
E quell’esperienza a Ustica, portata così bene in risalto dal film di Barbucci, fu semplicemente straordinaria. Il fascismo si diede la zappa sui piedi concentrando uno straordinario gruppo di cervelli in un posto delimitato di territorio. Facilitando involontariamente la creazione di un’utopia dell’insegnamento e dei rapporti sociali che rivoluzionò quella che era prima un’isola-carcere in cui vivevano 1300 persone, la metà delle quali detenuti comuni e, con il fascismo, detenuti politici.
I confinati portarono luce, anche dal punto di vista materiale. Una luce palpabile ancora oggi e, per quanto affievolita dal tempo, cresciuta nonostante tutto attraverso due generazioni di usticesi. Come un grande albero nato da un seme molto piccolo, piantato molti anni orsono.
Seppur lontana dagli orrori materiali dei Gulag sovietici e quelli assoluti dei campi di concentramento nazisti, la prigione-Ustica fu trasformata in una delle numerose prigioni politiche del ventennio fascista. Prigioni comunque dure anche se a cielo aperto, e con una malcelata parvenza di “umanità” da parte della dittatura, cosa ancor più subdola e ipocrita. L’Italia e il mondo furono privati, nei tragici anni che incubarono il mondo alla mostruosa seconda guerra mondiale, delle menti migliori. Peggio, il fascismo italiano fu tragico “insegnamento” alle dittature europee che da esso figliarono, di qualsiasi colore politico siano state. Rubando all’Italia e al mondo i migliori uomini, il fascismo costruì la sua tomba e provocò un danno materiale, morale e culturale di proporzioni semplicemente catastrofiche.
Basterà ricordare ai giovani d’oggi queste cose? Non sembra. La deriva verso nuove prigioni è più che evidente. Oggi la dittatura e gli “uomini forti” a comando piacciono molto: dalla Russia all’Italia, dalla Turchia alle “primarie” americane, raccolgono raccapriccianti consensi. E la sensazione è che le odierne prigioni a cielo aperto, i nuovi assedi, i nuovi isolamenti, le nuove bugie, le nuove falsità e ipocrisie, e le nuove menti combattute e isolate, siano in crescita ovunque.
In questo quadro, il film di Barbucci è un episodio di attuale Resistenza. Anche se, ahimè ce ne renderemo conto tra qualche anno. E forse sarà troppo tardi.
Gramsci 44
Produzione RamFilm Produzioni
Regìa Emiliano Barbucci Direttore della fotografia Daniele Ciprì Direttore di Produzione Maria Milasi Produttore Esecutivo Americo Melchionda Scritto da Emanuele Milasi Musiche originali Marco Betta
Finzione
Antonio Gramsci Peppino Mazzotta Amadeo Bordiga Americo Melchionda Piero Ventura Davide Cirri Tabaccaia Maria Milasi Popolano Maurizio Spicuzza
Costumi Maria Adele Cipolla Scenografia Giuseppe Colletti Trucco & parrucco Gli Aguglia consulenti d’immagine
Documentario
Aiuto Regìa Bernardo Giannone Camera Alessandro Cartosio Assistente operatore Stefano Coco
Fotografo di Scena Mathia Coco Grafica Locandina Angelo Alessandrini Post Produzione Frame by Frame Coordinatore di post produzione Primo De Santis Digital Color Grading Christian Gazzi Sound Mix Sandro Rossi Traduzione sottotitoli Valentina Spicuzza