di Gabriele Bonafede
“Sta facendo molto discutere l’ultima proposta presentata da Michela Vittoria Brambilla: concedere il diritto di voto anche agli animali.” Così Lercio in un gustoso articolo dei suoi.
“Dopo la mozione per effettuare sperimentazioni mediche solo sui peluche, l’accorata difesa delle nutrie e l’adozione di un chupacabra, l’ex ministro si conferma paladina dei pelosetti (oltre che delle calze autoreggenti) e spiega lo spirito della sua nuova iniziativa: ‘Gli atti di chi ci governa hanno un grande impatto anche sui nostri piccoli amici: è giusto che questi tesorini possano contribuire a scegliere i politici che meglio tutelino i loro interessi, rendendo l’Italia sempre più animal friendly’…”.
E via con lo stile Lercio dei migliori, nell’articolo per intero su: http://www.lercio.it/michela-brambilla-diritto-di-voto-anche-agli-animali/ con foto della Brambilla, qui riportata direttamente da Lercio.
A firma del mitico Andrea Michielotto, mezzo uomo e mezzo organismo, com’è chiaro dalle sue note biografiche in calce agli articoli: “Andrea Michielotto nasce per partenogenesi da un altro organismo pluricellulare chiamato Andrea Michielsette”.
Ma la notizia di Michielotto non è poi così lontana dalla realtà. In Sicilia, a proposito delle elezioni del XIX secolo, nell’allora Regno d’Italia, si narra di un ricco contadino che votava con il sistema allora vigente.
Le elezioni erano per soli uomini, per giunta selezionati in base al censo, ovvero calcolando quante tasse avevi pagato rispetto anche alle proprietà possedute. E quindi votavano solo i maschi che avessero una proprietà, un capitale, anche minimo, secondo parametri e tabelle ben precise. Avendo un asino ed essendo ligio a pagare le tasse, il nostro contadino aveva votato in varie tornate elettorali.
Poi, forse rovinato dalle crude tasse, vendette l’asino. Alcuni mesi dopo la transazione che gli aveva fruttato un bel gruzzoletto per tirare a campare in vecchiaia, arrivò il tempo d’elezioni. E andò comunque al seggio ad esprimere il proprio voto. Si sentì dire che non poteva votare. Chiese spiegazioni, “Perché? Ho sempre votato,”. “Vede, adesso che ha venduto l’asino e non possiede più un capitale sul quale paga le tasse, non può votare”. E lui “Pensavo d’essere io a votare, invece era l’asino.”
Naturalmente, la storia del contadino è una leggenda, uno scritto, un’esagerazione. Una “lerciata” dei tempi andati, forse scritta o cantata a suo tempo dal mitico, e anche noto, “Michielcinque”.
È vero però che la selezione degli elettori in base al censo procurava un Parlamento quanto meno particolare, oggi diremmo “di casta”. Con il suffragio universale per soli maschi, conquistato con dure lotte nel 1913, le cose iniziarono a cambiare. E grazie al voto esteso anche alle donne, nel 1946, si è arrivati a una legge elettorale sicuramente meno iniqua.
Ma, da allora, forse si è cercato di fare qualche passo indietro, riportandoci all’asino ottocentesco. Infatti senza il finanziamento pubblico ai partiti in un ambiente a suffragio universale solo per elettori si tende a una scelta degli eletti basata sul censo. Di quelli, cioè, che hanno ricchezze sufficienti a permettersi una campagna elettorale, di solito molto costosa.