di Gabriele Bonafede
Il racconto del racconto. Anzi, la creazione dell’idea di racconto. Odisseo, eroe del percorso umano, è colui che vince con la parola e con la furbizia. Pensa e agisce, prende decisioni, “per la prima volta” nell’epica e nella storia.
Grande narratore orale, giovane e contemporaneo mastro di cunto, Enia. Che porta al presente il canto XI dell’Odissea, sotto forma di racconto siciliano laddove è gradito, “palermitanizzandolo” fino a mettere Santa Rosalia al posto di Zeus in cima agli dei dell’Olimpo.
Nella prima, ieri sera alla sala Strehler del Teatro Biondo di Palermo, Enia ha affascinato il pubblico in “Odissea – Un racconto mediterraneo”, uno spettacolo del Teatro Pubblico Ligure di Genova, facendo risaltare i contenuti attuali e storici dell’epica con grande maestria. Un racconto mediterraneo è un progetto itinerante, ideato e curato dal regista Sergio Maifredi, che affida l’Odissea di Omero, “prima fiction a episodi” della narrativa occidentale, all’interpretazione orale di attori, scrittori e artisti di diversa esperienza.
L’XI canto, che narra della discesa di Odisseo agli inferi, è tra i più suggestivi e importanti, ed è reso visibile e palpabile dalle grandi doti immaginifiche e attoriali di Enia. Non è la prima volta di Enia al Biondo. E rimangono tuttora impresse in ognuno di noi le immagini, le fotografie raccontate, che abbiamo prodotto nella nostra mente grazie a Maggio ’43 di alcuni mesi fa.
Ma quelle erano immagini di un mondo recente, di un mondo reale e a noi più vicino. Abbiamo le foto di quei tempi che ci aiutano. Abbiamo il suo stesso romanzo, le vie di Palermo che spesso sono rimaste le stesse. Nello spettacolo di ieri, Enia, supera anche quell’esperienza evocando immagini e fotografie come fossero attuali, eppure di un mondo esistito più di duemila anni fa: colorandole di realtà quotidiana e producendo un vero e proprio documentario immaginario in ogni spettatore.
Documentario o “fiction”, o meglio film, che si sostiene sull’arte antica e presente del cunto, oggi ancora esistente e tornato a nuova linfa grazie ai grandi maestri che lo hanno continuato a produrre e insegnare, primo fra tutti Mimmo Cuticchio.
Rimangono così impresse le immagini evocate da Enia: abbiamo chiaro il tumulo con il remo di Elpenore, vediamo fiumi e animali fermarsi al canto di Orfeo, amiamo la bellezza di Euripide in quell’infinitesimo attimo in cui la vede e la perde, scintilla la spada di Ulisse nel tenere a bada le anime dell’Ade, entriamo alla tavola di Agamennone assaporando pasta con le sarde macchiata di sangue.
Non meno evocativa è l’immagine al presente dell’aspetto psicologico nella lotta contro noi stessi. Con il senso di colpa mediterraneo che appare senza scampo dagli inferi dell’Ade, come se fosse giorno quotidiano, quando Odisseo ritrova la madre ormai morta.
Ah, se avessimo avuto un insegnante così alle superiori! Anziché la noia del compito in classe, per quanto svogliati scolari, ci saremmo gettati a leggere l’epica e i canti!
Ma dove Enia produce ricerca e dialogo ancora più maturo e felice, è nel creare la sensazione continua e infinita del tempo. Il Canto XI aiuta in questo, perché l’indovino Tiresia vede nel futuro ciò che già conosciamo, ed è quindi provata la sua magia. Lo trasporta a Londra, per anima-donna non più giovane, ripianando le profezie più concrete del XX secolo che scorrono traslate al nostro XXI, in retrospettiva parlata all’era di Ulisse.
Un cunto nel cunto che si abbevera non solo alla pozza di sangue dell’Ade, ma alla nostra storia più recente, saltando i millenni tra gloria e serpenti, tra terra e inferi, tra lettere ed epica.
Enia è un grande, ho letto Uomini e pecore e maggio 1943 entrambi di notevole livello narrativo