di Gabriele Bonafede
A volte, anzi sempre, è meglio mettere da parte ogni orgoglio, ogni giudizio, ogni piedistallo, ogni frase iperbolica e di penna, e parlare chiaro: da semplici spettatori. Parlare, o scrivere, solo delle sensazioni provate guardando e ascoltando uno spettacolo, per quanto siano soggettive e non universali. E, in questo caso, sono costretto a soffermarmi sulla personale sensazione d’imbarazzo. Purtroppo è ciò che emerge da una rappresentazione che, con tutti gli sforzi e la comprensione possibile, rimane benevolmente patetica.
Anche con un testo che in origine è interpretabile, non mi è chiaro cosa voglia comunicare, cosa voglia dire, cosa voglia rappresentare lo spettacolo a regia di Lollo Franco al Teatro Biondo dal titolo “Kean – passione e seduzione”, se non le percezioni di noia e fastidio quasi costante. Commenti di spettatori vicini si lasciano andare a un triste: “Non ha né capo né coda”.
Lasciamo stare la presenza di alcuni, troppi, attori immaturi. Lasciamo stare la mancanza di pause, di gestualità comunicativa, di recitazione in ciò che si vede e si sente nel personaggio principale. Lasciamo stare pure una scenografia che mette in grande difficoltà anche gli attori capaci e professionisti con botole che si aprono a casaccio, scalette improvvisate, brutture da cantiere edilizio. Lasciamo stare personaggi che vanno e vengono, senza capire perché e percome, improbabili, ingiustificati.
Ma il fiume di parole prive di collegamento le une con le altre, prive di recitazione, in un testo tuttavia firmato da Michele Perriera, dà noia. Stanca. Impiccia. Indigna.
Indigna perché è una “rappresentazione” che appare troppo debole per un Teatro Stabile, nonostante l’impegno profuso. E che rischia di farlo navigare in montagne di polvere alzate a dismisura. Un teatro che, per fortuna e abilità, può essere rilanciato da altre esperienze di ben altro spessore anche quando non “riuscite”. Anche perché qualcosa da salvare, persino in questo “Kean”, una proposta al momento praticamente amatoriale, c’è. A partire dai pregevoli costumi di Dora Argento. Che però, in questo caso, sono sviliti dai movimenti goffi di chi non è abituato a stare sulle scene e deve far fronte a un’apparecchiatura scenografica inappropriata.
Qualche altro bagliore nel buio c’è ancora. Alcuni “quadri” da fotografia sono apprezzabili. Lo dimostrano, se non altro, le stesse immagini. La musica di Marco Betta è accogliente, potrebbe dare atmosfera con garbo, ma purtroppo è utilizzata senza senso dalla regia. Si muove bene in danza accennata Lorena Cacciatore, si dà da fare con professionalità Giuditta Perriera, si rende utile Roberta Azzarone. Ma senza né guida, né nulla da comunicare veramente, sono poche luci che si perdono in un tunnel scomodo e fastidioso, fino all’ultima boutade inascoltabile dell’attore principale, dopo applausi che amnistiano in un teatro ormai semivuoto. Mi sono però perso la prima, forse è andata meglio in quell’occasione a giudicare dalle recensioni circolate sul web.
Mettendo da parte l’effetto nella prima rappresentazione, che non conosco, la cosa che più fa riflettere è come possa una cosa simile arrivare fino al Teatro Stabile della quinta città d’Italia. Una città che ha grandi difficoltà, ma che se ha brillato per qualcosa in questi ultimi difficili anni, è stato proprio per il cinema e il teatro, per i tanti piccoli-grandi teatri in città, per tanti artisti che sono giustamente approdati a premi e cronache nazionali e oltre. E per tanti altri meno conosciuti che lavorano ogni giorno comunicando arte. E fa specie anche per il Biondo, che sembrava rinascere a nuova vita da qualche anno a questa parte.
Fa riflettere molto, e non si trova nessuna giustificazione se non quella che la scelta sia in linea con l’apertura del teatro a tutti gli artisti palermitani, una strategia dichiarata da Roberto Alajmo fin dal suo primo giorno d’insediamento alla direzione del Biondo. E che anche nel caso di Lollo Franco, aldilà della critica e delle personali sensazioni di uno spettatore piuttosto che un altro, è una scelta che ha un senso: Lollo Franco ha un suo pubblico, e va rispettata l’opinione di chi lo apprezza, lo ammira, lo applaude.
S’intuisce (ma è solo un’ipotesi) che, confrontato con la sfida di una regia prevedibilmente lontana da opzioni recenti e meno recenti, il direttore del Biondo abbia messo a disposizione il meglio che aveva, o che c’era tra Biondo e Massimo. Uno dei musicisti più ispirati, una magica costumista, alcuni attori/attrici di grandi capacità, l’impegno profuso dall’intera struttura del teatro, fatta di persone che hanno dato e danno molto. Ma quando si mette una toppa di stoffa buona sopra un vestito di bassa qualità, si vede. E il risultato, purtroppo, è peggiore del rimedio.
E infine, coraggio. Gli eventuali errori servono per migliorare, per capire meglio, per contrapporre grandi cose ai limiti propri e degli altri. E trarre, persino dall’eventuale flop, un mondo di arte. Arriveranno miglioramenti su questo spettacolo e altro. Arriveranno momenti di maggiore qualità, visto il programma della stagione che rimane attraente e interessante.
Sono curioso di andare a leggere le recensioni sui precedenti spettacoli finire proposti: goffi, brutti, inutili, delle finte provocazioni da strappa-applauso e sterili “paraculate” (mi si conceda il termine). In Kean, concordo sui nomi citati e sulla bellezza dei costumi. È vero, non si possono portare in scena attori che recitano come se parlassero al citofono, la scenografia interessante ma troppo per un palco così ridotto. Cosa va apprezzato? Il fatto che finalmente, dopo anni di oblio e di rifiuto, Michele Perriera approdi al Teatro Stabile Biondo di Palermo. Altri tentativi di proposte sono stati rifiutati. Cosa non va apprezzato? Il fatto che si debba a Lollo Franco, l’ingresso di Michele Perriera nel teatro Stabile di Palermo. Lollo è anche bravo ma pecca troppo di protagonismo, tralasciando che sul palco ha la figlia dell’autore che ha recitato con passione e vibrando di emozione raggiungendo il pubblico. A lei va buona parte degli applausi ricevuti.