di Gabriele Bonafede
Continuano i roghi di libri in Russia. Questa volta, tocca a quelli della fondazione Soros. Si può non essere d’accordo con Soros, ma bruciare libri fa precipitare ai secoli prima di Voltaire. Ed è penoso vedere un Paese così importante per la cultura mondiale, proprio per la sua letteratura, la sua cultura e la sua arte, sprofondare nella pratica oscurantista del rogo dei libri.
Purtroppo per la Russia, non sono solo i roghi di libri dall’indigeribile sapore nazista che preoccupano. Semmai sono un sintomo di un Paese che affonda sempre più nell’autoritarismo, che è sempre foriero di errori immani e tragici. E le prime tre settimane del 2016 sono costellate di disastri.
Il primo, prevedibile e previsto, riguarda il crollo del petrolio. Il Brent, già molto basso a fine anno, e ben al di sotto delle esigenze di bilancio di Mosca, ha perso oltre il 21% dall’ultima quotazione del 2015. In pratica, ha sfondato il “floor” psicologico dei 30 dollari al barile e al momento è quotato intorno ai 29 dollari. Lo spettro di un prezzo intorno ai 20 dollari si avvicina anche più rapidamente del previsto. La conferma della riduzione delle sanzioni all’Iran fa intuire ulteriori ribassi nel breve-medio termine.
Ovviamente il prezzo del petrolio non dipende dalla politica di Mosca. Ma il governo russo non ha fatto nulla di concreto per diversificare le entrate, rimanendo largamente dipendente dall’esportazione del greggio per il proprio bilancio.
Il crollo del petrolio si porta quindi dietro quello del rublo, ormai intorno agli 85 rubli per un solo euro. In realtà, il rublo potrebbe avere un valore ancora più basso se non fosse per la futile politica del governo russo di bruciare riserve per cercare di tenerlo più alto di quanto varrebbe se lasciato al libero mercato. Bruciando inutilmente preziose riserve accumulante nei tempi di vacche grasse, la banca centrale russa non fa che aggiungere altro rogo all’economia in difficoltà.
Non è finita. Le folli avventure militari propagandate dal regime russo in ogni angolo della terra come “risolutorie” si stanno rivelando un fallimento, e si stanno ritorcendo contro il popolo russo, ignaro.
In Ucraina la situazione è in uno stallo, con la Russia che sostiene ribelli separatisti poco raccomandabili e difficili da gestire. Di fatto, il Donbas è un peso econmico e politico enorme per il Cremlino, e molti militari russi sono caduti per una guerra di propaganda di regime a vicolo cieco. Per quanto riguarda la Crimea, la Russia sta spendendo cifre gigantesche per cercare di gestirla, senza risultati. È un altro peso economico enorme e lo è anche dal punto di vista delle relazioni internazionali.
Infine, tra le avventure militari, l’intervento in Siria è forse il fallimento più evidente. La Russia si è ritrovata a sostenere un dittatore scellerato, che macella e affama il proprio popolo. È intervenuta a parole contro l’Isis, nei fatti contro i nemici di Assad. Sostenendolo incondizionatamente e con i suoi stessi metodi: le bombe a grappolo sulla popolazione civile, distruggendo case, scuole e ospedali e massacrando donne e bambini inermi. Contro l’Isis i progressi sono stati quasi nulli, anzi. È notizia di ieri che l’Isis, arretrando nel fronte iracheno dove opera la coalizione americana, avanza invece nelle zone di Assad. Gli errori li stanno tragicamente pagando anche i cittadini siriani che si trovano nelle zone controllate dal regime e non solo quelli che si trovano nelle zone bombardate da Assad e russi. Sul piano militare e politico, l’avventura russa in Siria si sta rivelando un disastro dopo soli tre mesi d’intevrento.
Ma quello che più preoccupa il governo di Putin è, ovviamente, il fronte interno. La Russia è economicamente e socialmente a pezzi. La pervasiva propaganda dei media russi non fa che aggravare la situazione, raccontando bugie a destra e a manca. La realtà salta fuori ogni giorno con le penurie di cibo, le pensioni che non bastano per vivere, la giustizia che non esiste, lo strapotere dei ricchi e della polizia, i morti che tornano dai vari fronti senza sepoltura ufficiale.
Sintomaticamente, per il 2016 il governo russo mette al primo posto delle strategie “di difesa” le “rivoluzioni colorate”. Cioè il pericolo, per il regime, di una rivolta sociale di enormi proporzioni. E dà alla polizia il diritto di sparare sui manifestanti, facendo regredire l’intera Russia al tempo degli zar.
Sono anche aumentati a dismisura i nemici della Russia. Anche gli alleati più fedeli e coltivati per anni se non decenni si allontanano, chi a piccoli passi e chi a grandi passi, dalla fallimentare politica di Putin. Si smarcano via via antichi e recenti amici della Russia: Bielorussia, Kyrgyzstan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kazakhstan, Armenia, e altri Paesi dell’ex-Urss. Il capo del governo dell’Azerbaijan cerca di riannodare le fila, ma l’intero popolo azero mostra, ovviamente, grande simpatia per la Turchia. Anch’essa fatta nemica della Russia dalle follie di Putin.
Una cosa sola è vera nella propaganda del regime russo in questa situazione: il Paese ha molti nemici. Soprattutto ai propri confini, e sono nemici creati ad arte dal regime stesso.
Il 2016 si annuncia molto difficile per la Russia e il regime di Putin, tra petrolio ai minimi, economia in forte recessione anche quest’anno, problemi sociali, economici e infrastrutturali giganteschi. La cosa grave è che non c’è nessun segnale di cambio di rotta. Anzi.
Alcuni alti ufficiali dei servizi segreti sarebbero morti in circostanze misteriose, segnale di dissensi interni non chiariti nelle più alte sfere dell’amministrazione e in posti di alta responsabilità. La repressione avanza, persino con i roghi di libri. Se la Russia dovesse continuare su questa strada finirà per bruciare se stessa ancora di più. E questo è un problema enorme per tutta l’umanità.
Orrore !