di Pasquale Hamel
Per anni il suo negozio di abbigliamenti e scarpe, situato nella centralissima via Roma di Porto Empedocle, è stato il più frequentato del paese. Brucaleddu, com’era chiamato per distinguerlo dal più raffinato fratello che godeva del favore della migliore clientela locale, è stato oltre che abile commerciante un vivace e originale personaggio cittadino. Già la sua figura, alto, magro e oppresso da un’enorme ciste sulla scapola che ne deformava la spalla ingobbendolo, era tutto un dire. A chi infatti lo consigliava di liberarsi della poco estetica protuberanza lui, che era notoriamente uomo superstizioso, rispondeva che giammai se ne sarebbe privato, per non trovarsi a dovere cercare qualche attrezzo anti-malocchio da toccare o, ancor meglio, proprio qualche gobba come quella che per dono della natura già possedeva.
Già questa battuta la diceva lunga sul singolare personaggio cui evidentemente non faceva difetto l’ironia. E di sue battute, immediate e stroncanti, ve ne erano tante da potere riempiere un’enciclopedia. Così, poteva capitare a qualche suo cliente che, al momento di pagare un paio di scarpe o un capo d’abbigliamento, fidando nella benevolenza per antica conoscenza o per la costante assiduità negli acquisti, si azzardava a chiedergli uno sconto con la classica formula “cavaliè, nenti ci avi a livari”, egli con serafico distacco rispondeva: “Ah! Sì, m’ava scusari, ora ci levu a scatula “. Ma capitava anche che, all’arrivo di alcuni avventori da lui riconosciuti, se ne uscisse con la sibillina frase: “stannu arrivannu machini di Trapani”. E se qualcuno chiedeva lumi, lo sorprendeva con, più o meno questa domanda: “mi dicissi una cosa, qual è a targa ‘i Trapani”. Alla risposta “TP” lui di rincalzo, “Tempu Persu”, vale a dire gente che non compra.
Ma la specializzazione di Brucaleddu, arguto come lo potevano essere uomini della terra di Pirandello, era nel tirar fuori da una mai esaurita riserva dal suo personale immaginifico e nell’affibbiare alla gente nomignoli così calzanti da stupire e tali da, indurre al riso, anche la persona più compassata. Così “facci sponsa” (cioè faccia di spugna) era quello che aveva appioppato ad un maturo e serioso professore le cui guance erano devastate da rughe e bitorzoli vari; “le carine” erano due sorelle zitelle non troppo belle che cercavano con creme e rossetti d’ogni tipo di aggraziarsi nella vana attesa di un promesso sposo; “sorrisi e canzoni” era un edicolante che sembrava che portasse sulle spalle le disgrazie del mondo; “cocorito” era un vecchio ed eccentrico ragioniere cha stazionava vicino al suo negozio il cui naso arcuato e la cui voce stridula richiamavano l’idea del pappagallo o, ancora “u Brill” per la straordinaria somiglianza con il figurino stampato sulla scatola del noto cerotto per scarpe appunto Brill che il cavaliere Sinatra si portò appresso per tutta la sua non breve vita.
Una delle ‘ngiurie più riuscite, termine che tradotto in italiano non significa ingiuria ma piuttosto soprannome (per lo più non gradito e largamente utilizzato come vero nome in ogni centro abitato siciliano) era quella che aveva appioppato ad un ottimo barbiere la cui bottega, di dimensioni microscopiche, si trovava all’inizio di via Marconi. Il barbiere amava le canzonette e, storpiando le parole, stava tutto il giorno ad assordare con le sue melodie il vicinato. Una delle sue preferite era “Abat Jour” una melodia che, come qualcuno ricorda, accompagnava il peccaminoso strip-tease di Sophia Loren in Ieri oggi e domani lungometraggio del maestro De Sica. Il barbiere quell’abat jour, vocabolo per lui barbarico, lo distorceva facendone un suono disarticolato.
Non poteva essere occasione migliore per il nostro fantasioso coniatore di ‘ngiurie, ed ecco spuntare dal nulla l’epiteto di “Ciccu bbaciù” che il barbiere, nonostante rimostranze contro nugoli di ragazzacci scalmanati che si divertivano a gridarglielo, si trovò appioppato addosso. Quel nomignolo il nostro non se lo tolse più di dosso e, nonostante lo detestasse, ironia della sorte lo si sarebbe ritrovato nel manifesto che, con la solita litania retorica dei parenti dolenti, annunciava ch’era morto Francesco…. meglio conosciuto come “Ciccu ‘bbaciù”.
Brucaleddu, una figura unica del panorama urbano cittadino, visse a lungo sopravvivendo a molte delle sue vittime e, anche in vecchiaia non perdette mai la sua verve ironica di cui tanti altri suoi paesani, sorridendoci sopra, fecero le spese. E oggi, per giusta e goliardica “vendetta”, lo ricordiamo con il suo stesso soprannome.
In copertina, foto diffusa dall’ufficio stampa della Rai per la presentazione della trasmissione “Barbieri d’Italia”, il programma di Rai3 andato in onda martedì 5 gennaio alle 23.20. Tratta da:
http://www.ufficiostampa.rai.it/dl/UfficioStampa/Articoli/BARBIERI-DITALIA-4ace9c80-0f72-4179-b680-e9b00f3ba163.html
I soprannomi o meglio dette “ingiurie” sono una caratteristica del popolo siciliano o comunque del meridionale in genere e Hamel ne riporta alcuni. Non credo però sia accettabile, lo dico in parte per convinzione in parte per il rapporto di parentela( fratello della mia nonna paterna), definire “ignorantissimo barbiere” chi durante il periodo bellico e postbellico aveva dovuta anteporre la sua attività prima da ragazzo di bottega poi a ” varberi” a quella degli studi che in quel periodo solo pochi eletti potevano concedersi. Varrebbe quindi la pena che lo scrivente si scusi con la memoria del l’interessato e perché no anche con i suoi, anche se lontani, discendenti e che non cada più in queste imperdonabili cadute di stile. Nino Baio