di Gabriele Bonafede
Potrebbe sembrare iperbolico, ma il successo di una pièce emozionante quanto dolorosa come “Picciridda Stidda”, ieri sera lungamente applaudita al Teatro Garibaldi di Palermo, deriva dal far riflettere sull’accettazione della morte, e quindi sull’accettazione della vita.
Con il profondo testo di Francesco Randazzo lo spettacolo prende libero spunto dalla vicenda di Rosalia, la bambina perfettamente imbalsamata alle Catacombe dei Cappuccini di Palermo.
Fin dalle prime battute, si capisce che l’argomento non è tanto la storia in se stessa della piccola bambina vista da milioni di palermitani e turisti, ma una riflessione molto più ampia su vita e morte che essa suggerisce.
Immaginando che Rosalia sia rimasta sospesa tra vita e morte a causa di un processo d’imbalsamazione miracoloso, il monologo scritto da Randazzo rapisce lo spettatore e lo fa viaggiare in emozioni e meditazioni inestricabilmente annodate tra loro.
La grande esecuzione del testo da parte dell’attrice siciliana Sebastiana Eriu esalta ancor più il denso scritto di Randazzo. Lo spettatore attraversa così tutti gli stadi del rapporto con i misteri della nostra esistenza, della nostra non-esistenza, del possibile aldilà rendendolo perfino materico.
Dolcezza verso la vita e lacrime per la dipartita scorrono così in un pieno contatto con il pubblico, senza sconti per ciò che percepiamo. Quella dolcezza che per noi è amore immenso verso i piccoli s’interseca con lo sgomento del dolore.
Un dolore che va accettato e non nascosto, attraversato e non evitato, meditato e non allontanato. Affrontato e superato per costruire e agire, e non solo per rimanere nel ricordo museale. Rendendolo così realmente vivo nel nostro intimo e nell’esperienza del dopo rivolta a un fine.
Tutto ciò spiega un successo che a molti potrebbe sembrare inaspettato, ma che invece è stato giustamente percepito dalla Compagnia di Scaldati che, con Melino Imparato, ha fortemente voluto lo spettacolo in scena per la prima volta al Garibaldi.
Dopo alcune rappresentazioni in piccoli teatri d’alta qualità a Palermo, come La Guilla, ieri sera è stata la prima volta di “Picciridda stidda” in un Teatro conosciuto a Palermo e in tutta Europa.
Merito anche della direzione artistica che ha accettato la sfida. Vincendola: teatro pieno anche in una data particolare come il 2 gennaio, emozione, applausi e soprattutto Teatro.
Che è il vero obiettivo di questo palco palermitano dall’atmosfera unica, immerso nel centro storico di Palermo e sempre attento alle avanguardie, che non siano fini a se stesse ma proiettate nel contributo alla crescita culturale dentro e oltre i confini della propria città di presenza.
L’allestimento è semplice: una sola attrice per un monologo con i pochi oggetti simbolici della breve infanzia al personaggio. Sullo sfondo, il criptico retroscena della realtà con un simbolo per antonomasia: un quadro pittorico.
L’attrice è sola. Parla, gioca, agisce, piccolina nel vasto palcoscenico del popolo di curiosi che viene a usufruire della Rosalia mostrata a tutti. E canta a cappella, rendendo ancora più concreta la solitudine nella sospensione tra presente vivo e incomprensibile aldilà.
L’eredità di Rosa Balistreri, chiaramente voluta da testo e regia, è raccolta in pieno dalla Eriu. Le ninna-nanne, filastrocche e canzoni popolari rese celebri dalla grande cantante siciliana, sono interpretate con timbri e ritmi fortemente personalizzati: liberi, come libero è stato ed è lo spirito di Rosa.
In un mondo in cui dilaga il sordo cinismo di fronte a tragedie d’infanzia negata a tanti piccoli esseri umani che muoiono ogni giorno dilaniati dalle bombe o annegati nel tentativo di scappare, “Picciridda Stidda” ha anche un valore più ampio. Per il quale non ci sono parole che possano. Ed è qui che interviene l’Arte.
Le foto di scena, in copertina e nel testo dell’articolo, sono di Alessandro D’Amico.