di Benita Licata
L’anno scorso sono ritornata a Montalcino. C’eravamo andati per una supplenza. Io avevo ventidue anni, Franco ventitré, figlio di preside (niente favoritismi!), distanti da casa ma pieni di entusiasmo. Ci sposeremo l’anno successivo e restiamo da vincitori di concorso in questo meraviglioso paese. Nasce Gabriele. Franco si ammala e torniamo a Palermo, niente assegnazioni provvisorie per gravi patologie. Otteniamo due sedi vicine ma distanti da Palermo.
La chemioterapia… Io, per non assentarmi, carico il bambino e una vecchia zia in macchina la mattina e ci rechiamo al paese dove, in una piccola casetta affittata, loro aspetteranno che io finisca il mio lavoro per poi tornare a Palermo. Imparo a guidare. L’anno successivo ho una sede un po’ più vicina e sono sola con il mio bambino.
Passano gli anni e sono tanti. Eppure, vincendo il concorso a Preside, scelgo la scuola da me frequentata da piccola. Non mi sposterò più perché mi affeziono a quei ragazzi difficili. La mia scuola non è più quella che frequentavo da piccola, il centro storico si svuota lentamente. Saranno anni di lavoro intenso ma carico di risultati, ogni alunno strappato alla strada compenserà la fatica. Incontro tanti docenti motivati, tanti genitori partecipi. Ogni piccolo successo sprona a fare meglio e di più. Il tempo passa in fretta e vado in pensione per limiti di età, ma mai stanca.
L’anno scorso ritorno a Montalcino. Una signora con i capelli bianchi si avvicina: “Ma lei non è …”. Era una mia allieva delle magistrali. Nella successiva mezz’ora arrivano i “nostri” alunni. Alcuni si sono sposati fra loro. Abbracci e commozione. Sono tanti. Uno corre alla sua enoteca e mi porta una bottiglia di Brunello dicendomi: “Io il professore Franco non posso dimenticarlo, lo penso ogni mattina, mi ha insegnato a leggere il giornale”. Torno e porto il vino a Gabriele.
Anni difficili, inizi di una splendida avventura. Non li baratterei con nulla!