di Gabriele Bonafede
Anche oggi è una giornata negativa per il petrolio: il prezzo scende. Forse non come nei giorni scorsi, ma scende ancora. Siamo ormai intorno ai 38 dollari per barile se consideriamo il Brent, ancora meno per il Crude. Al trend negativo si aggiunge una notizia fresca, fresca: gli USA sono vicini togliere le limitazioni all’esportazione del greggio che duravano da quarant’anni. Non ci saranno effetti immediati, ma alla copiosità dell’offerta attuale si aggiunge un altro elemento.
Il prezzo del petrolio scende principalmente per la grande quantità immessa nel mercato, l’arrivo annunciato del petrolio iraniano, le grandi produzioni di shale-oil, e la grande quantità di giacimenti scoperti (anche in Italia) quando il petrolio costava moltissimo.
La leggerezza del prezzo del petrolio da un anno e mezzo a questa parte è stata spaventosa per chi lo produce e lo vende. Un crollo senza fine.
Dall’estate del 2014 il Brent ha perso oltre il 60% del valore, passando da circa 110 dollari al barile ai 37-39 di questi giorni. Un vero salasso. E questo ha un forte impatto nell’economia mondiale con vincenti e perdenti.
Tra i vincenti c’è innanzitutto l’economia del mondo preso tutto insieme. Si calcola che per ogni 10% di riduzione del prezzo del petrolio, il PIL mondiale cresca dello 0,2%. Una riduzione relativamente stabile del 70% ha portato dunque a un aumento di circa 1,4% per la ricchezza dell’intero globo, fatte salve le considerazioni riguardanti l’ambiente.
Tra i maggiori vincenti ci sono le economie sviluppate che importano grandi quantità di petrolio: quasi tutti i Paesi europei soprattutto l’Italia, la Turchia, la Cina. Non a caso il mercato dell’auto in Italia è in netta ripresa e il prezzo della benzina si è ridotto sensibilmente, anche se nessuno lo nota più di tanto.
Tra i perdenti ci sono i grandi Paesi produttori e soprattutto quelli che producono con tecnologie obsolete e margini di guadagno fortemente dipendenti dal prezzo, in primo luogo la Russia.
Non è un mistero che la Russia si trovi in grandi difficoltà economiche dallo scorso anno, aggravate da alte spese militari, mancato adeguamento e diversificazione dell’economia, problemi nel commercio a causa delle sanzioni imposte da Putin ai propri concittadini, oltre al rischio geopolitico provocato dalle avventurose e sanguinose decisioni del governo russo. Il PIL della Russia è in forte contrazione con un meno 4% per l’anno corrente.
Le difficoltà si vedono. Ad esempio nella qualità della vita del cittadino medio e dei poveri in Russia. Le infrastrutture pubbliche decadono, come documentato dalle foto che pubblichiamo: ospedali fatiscenti, strade in condizioni impossibili, intere comunità rurali e piccole città abbandonate a se stesse.
Gli ultimi rapporti della Banca Mondiale dipingono una situazione preoccupante, soprattutto per le famiglie russe. I salari reali sono scesi dell’8% nei primi sei mesi del 2015 e il trend non sembra cambiato per la seconda parte dell’anno. Ciò vuol dire che nel corso del 2015 il reddito della famiglia media russa è sceso del 15% e oltre. La povertà è aumentata, con il 40% delle famiglie in difficoltà ancorché la disoccupazione si sia mantenuta bassa passando dal 5,3% al 5,6%. La povertà è passata dal 13,1% al 15,1% e cresce ancora.
In qualche modo, l’impatto di bassi prezzi nel petrolio e nel gas è stato contenuto grazie alla decisione del governo russo di lasciar scendere il rublo in maniera controllata, cioè con interventi della banca centrale russa solo per fermarne il crollo e in momenti di maggiore stress a soglie psicologiche vulnerabili. Il rublo è dunque sceso di molto, passando dai 40-50 rubli per un euro di un anno fa ai 70-75 di oggi, anche se la pressione a superare gli 80 rubli degli euro è stata praticamente costante nelle ultime settimane e la spesa per fermarne il crollo ha intaccato le grandi riserve accumulante dal governo russo in tempi di vacche grasse.
Quello che fa preoccupare di più è il budget di Stato per le infrastrutture civili. Il debito pubblico è sotto controllo, con un rapporto con il PIL che è aumentato ma rimane largamente sostenibile al 18-20% (in Italia è oltre il 130%). Ma il governo di Putin ha dovuto tagliare il budget pubblico sensibilmente negli ultimi mesi, dopo un forte incremento, pur mantenendo e anzi aumentando le spese militari che incidono molto di più che nei Paesi UE. Ne fanno le spese gli investimenti in nuove infrastrutture civili e il loro mantenimento, oltre al valore di salari e pensioni
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