di Giovanni Rosciglione
Ci sono giorni in cui il caso, il beffardo sortilegio dell’incrocio degli avvenimenti, sembra lanciarti un messaggio inequivocabile che non puoi non accogliere.
Ieri sono in pieno struscio in quello che è il #vialetto per antonomasia per chi era ragazzo negli anno ’60.
E lì che incontro una coppia di amici che mi raccontano increduli questa disavventura patita mentre tentavano di visitare uno delle migliaia di gioielli monumentali e paesaggistici che giacciono nella nostra Sicilia come margaritas ante porcos di evangelica memoria.
Gli amici, uno dei quali è anche Assessore di una cittadina della Brianza, avevano deciso di visitare il “Parco Archeologico di Selinunte e Cave di Cusa”, che è il sito archeologico più vasto d’ Europa: un tesoro meraviglioso e unico al mondo, che sorge su una delle coste marine più appetibili dal punto di vista turistico vacanziero.
Acquistano due biglietti, varcano l’ingresso e si avviano verso le meraviglie archeologiche. Notano sporcizia e abbandono, notano che, in una fine di autunno semiestivo, sono due o tre gli altri turisti presenti, ma il posto è così bello che vanno avanti. Fano pochi metri e si accorgono che un branco di cinque o sei cani randagi, si alza dal sonnellino e va verso di loro con intenzioni palesemente non amichevoli. Sentono ringhiare. Girano i tacchi e si avviano, piano piano, con circospezione verso l’uscita.
Incontrano anche un’altra coppia di temerari visitatori e li avvertono del pericolo. Insieme, terrorizzati, raggiungono, sempre col branco dietro, l’ingresso con biglietteria e fanno presente al “branco” dei dipendenti l’accaduto, protestando educatamente e chiedendo il rimborso dei biglietti.
L’addetto risponde che non può rimborsare l’importo dei biglietti. I turisti fanno presente che non hanno potuto visitare il sito per la presenza di pericolosi randagi. L’addetto risponde che loro erano stati avvertiti della presenza delle bestie e sono entrati egualmente, quindi …
Gli ex turisti negano di essere stati informati e l’addetto dice loro testualmente “c’è u cartieddu dduocu!” e indica loro un piccolo foglio dattiloscritto affisso qualche metro più in là.
I turisti fuggitivi leggono il cartello che, più o meno, così recita: “SI AVVERTONO I VISITATORI CHE SE HANNO CANI QUESTI DEBBONO ESSERE LASCIATI FUORI DAL SITO PERCHE’ DENTRO CI SONO CANI RANDAGI PERICOLOSI” .
Oggi leggo la polemica che, prevedibilmente, nasce dalla proposta dell’ennesimo Assessore ai Beni Culturali della nostra disgraziata Regione di avviare una politica di privatizzazione dei servizi nella gestione dei Monumenti della Sicilia, cominciando dagli spettacoli del Teatro Antico di Taormina. http://palermo.repubblica.it/cronaca/2015/12/04/news/vermiglio_piu_privati_nei_beni_culturali_io_massone_in_sonno_-128778043/
Ovviamente il nuovo Assessore – che non conosco – viene investito da una contraerea micidiale: gli danno del massone, del capitalista, del capitalista plutogiudaico e così via landiniando. A questo punto bisogna precisare che la qualità della gestione di Selinunte non è l’eccezione, ma la regola che vige nella politica di fruizione dei BB.CC della Sicilia.
Io non so se l’assessore è massone, o è un mazziniano della Giovane Italia, oppure se è socio di un club di scambisti, o anche iscritto al circolo dei cultori del parapendio. Non mi interessa.
Ma se l’assessore fossi io, più che privatizzare, penserei a “militarizzare” la gestione dei beni culturali della nostra disgraziata terra. E, forse, non solo la gestione di quel settore.