di Benita Licata
Parlare in questo momento di scuola, mentre tutti ne parlano, mi viene, paradossalmente, difficile. Vorrei parlare di scuola di buona scuola, vorrei parlare della nuova legge e di tutti i punti forti e i punti deboli che ci trovo. Prima però desidero partire dallo “statu quo “e poi, successivamente, entrare nel merito per temi specifici.
Per quarantacinque anni, brevi o lunghi a seconda da dove li guardo, ogni mattina e fino alla sera ho vissuto di scuola. Ogni mattina sapevo cosa dovevo e potevo fare e difficilmente avevo tentennamenti, anzi la sera mi addormentavo convinta che l’indomani avrei ricominciato con ancora più voglia. Per quarantacinque anni, anche nei momenti difficili, andare a scuola è stata la mia ancora di salvezza, anche se alcune vicissitudini personali non andavano per il verso giusto. Ed anche oggi, in pensione, i ricordi mi riempiono la giornata e mi lasciano soddisfatta di quello che a scuola e per la scuola ho fatto. Ma perché oggi ho difficoltà a scrivere sulla scuola? Perché è cambiata? Perché non ci sono più? No, ho difficoltà perché è cambiato il mondo, sono cambiate tante cose e la scuola non riesce più a dare le risposte che prima dava.
Perché troppe sono le lacune, troppa la difficoltà, troppe le cose che andrebbero “sistemate” e che i nostri amministratori a tutti i livelli non sempre riescono ad affrontare. E dire che dalla scuola passiamo tutti come utenti, passano i nostri figli ai quali dobbiamo più di tutto risposte per un futuro. Le lacune sono moltissime e le risposte per colmarle non possono venire da una parte sola, e forse spesso l’errore è confondere i vari livelli di intervento e aspettarsi risposte dalla “politica” in generale e non dai singoli pezzi istituzionali.
Da dove cominciare? A mio avviso distinguendo anche gli “attori”: l’istituto scolastico, gli alunni, i lavoratori scolastici. La prima risposta deve riguardare proprio il luogo dove si fa scuola, dove vivono buona parte della giornata gli alunni di età diverse e di esigenze diverse, una scuola non sicura, una scuola fatiscente, una scuola senza strutture, senza gli spazi utili per “fare scuola” ai vari livelli non serve. Serve una scuola dove il bello da vedere e usare sia la priorità assoluta. L’edilizia scolastica coinvolge il comune per la materna e la primaria e il 1° grado di istruzione e la provincia per il 2° grado. In Sicilia, dove non esiste una legge sul diritto allo studio, siamo a statuto speciale e quindi anche la regione viene coinvolta ma quella che poteva essere un’autonomia positiva spesso è stata un’aggravante – un gioco a scaricabarile. E anche i recenti accorpamenti fra istituzioni scolastiche pur con tutta la buona volontà, risentono di una scelta spesso dettata dai mezzi risicati e non da un occhio di riguardo per l’utenza. E non voglio soffermarmi sugli scandali degli affitti “mirati” perché il discorso diverrebbe lungo e doloroso.
Ma anche sul fronte degli alunni, anzi soprattutto su di loro, pesa una scelta della politica nazionale passata sciagurata, una scelta di risparmio che ha colpito proprio i più deboli, i più fragili, i ceti meno abbienti. Dal costo dei libri, alle classi affollate dove chi meno sa meno può venire aiutato in un serio recupero delle abilità e delle conoscenze, dalla carenza di classi di scuola materna al sostegno per i disabili che di fatto sono i più colpiti dai tagli proprio perché un’ora in meno per loro significa una mancata assistenza e un sicuro aggravarsi del proprio stato di salute sia fisica che mentale. Ma i tagli passati hanno riguardato molte discipline, più tempo scuola significa non solo risolvere una volta e per sempre il triste fenomeno del precariato che nuoce sia ai precari, ma anche all’importante continuità didattica per gli alunni.
Significa anche impartire diversamente la conoscenza, con assetti diversi da quello della lezione frontale, significa organizzare attività culturali di ogni genere che non solo arricchiscono l’alunno ma lo divertono, lo gratificano e spesso, per i ragazzi difficili, per i ragazzi di famiglie disagiate, certe iniziative della scuola (penso al teatro, al canto, alla pittura, alla danza, allo sport) sono gli unici momenti di vero e sano divertimento. Un tempo scuola che dura buona parte della giornata, deve coinvolgere anche il personale ATA e può coinvolgere anche i genitori che partecipando capiranno e aiuteranno meglio i loro figli e si gratificheranno anch’essi sentendosi parte di un mondo che, in altri modi, non sentono proprio, se non distante e/o ostile…
Il tempo scuola prolungato è la risposta anche per porre fine ai vergognosi tagli operati in questi ultimi anni sulla pelle dei docenti. I docenti sono pagati male e a malapena per le ore frontali, altro che aumentare le ore, le ore frontali vanno diminuite e il resto va utilizzato proprio per tutte quelle attività che ognuno ha affinato attraverso la disciplina che insegna ma anche attraverso la vita che ha condotto, i propri hobby, le proprie attitudini e, se queste attività coinvolgono veramente tutta la comunità scolastica (gare, performance, spettacoli), saranno fonte di soddisfazione anche per loro. Certo non tutti gli insegnanti sono uguali, ma chi li ha formati? L’università no di certo, e allora è necessaria una seria formazione in servizio – seri corsi che non servano solo per un punto in più o per essere il fiore all’occhiello di alcuni curricula per i formatori ma che servano per migliorare quel magico momento che è l’insegnamento – apprendimento che arricchisce in modo ineguagliabile i veri attori della scuola: l’alunno e l’insegnante. Con queste premesse è chiaro che ho salutato la nuova legge sulla scuola come benvenuta e vedo, tra le norme, molte risposte ai miei perché ma so che molto dipenderà proprio dagli attori che ho citato prima.